L’esodo di massa prodotto dalla crisi economica ha creato una generazione di minori separati dalle loro famiglie. Alcuni vengono ospitati in case di accoglienza, mentre i meno fortunati vagano per le strade chiedendo da mangiare.

“A me piace il Venezuela, però mio padre se ne è andato e non lo vedo da due mesi. Non ho potuto parlargli e questo non mi piace.”, dice Alexander, un bambino venezuelano di otto anni originario di Cagua, un comune nello stato di Aragua, nel centro nord del paese. Grazie alla presidente della Commissione per la Famiglia dell’Assemblea Nazionale, Mariela Magallanes, appartenente al partito d’opposizione La Causa Radical, siamo venuti a conoscenza delle storie di bambini che, a causa della grave crisi che ha colpito il paese, hanno sofferto la separazione dalle loro famiglie.

Come Alexander, sono decine i bambini che ogni giorno vengono abbandonati dai genitori in Venezuela. I genitori, alla ricerca di migliori opportunità, decidono di lasciare il paese con il sogno di trovare un lavoro che gli permetta di sostenere la famiglia a distanza. Attualmente nella città di Alexander, come in molte altre parti del paese, la situazione è devastante: non c’è luce, non c’è acqua e la disponibilità di cibo è quasi nulla.

Secondo dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), il disagio sociale, politico ed economico ha generato un esodo che ha obbligato 1.6 milioni di venezuelani a emigrare. Di questi, almeno un milione se ne è andato a partire dal 2015. Tuttavia, l’Observatorio Venezolano de la Diáspora (Osservatorio Venezuelano per la Diaspora) ha calcolato che, dal 1999, anno in cui Hugo Chávez ha assunto la presidenza del paese sudamericano, almeno 3 milioni di persone hanno lasciato il paese.

“La cosa che più mi piace fare è giocare a calcio con gli amici. Anche qui ci sono altri bambini i cui genitori se ne sono andati’, aggiunge Alexander.

La situazione dei bambini è tale che in settimana l’Assemblea Nazionale, controllata dall’opposizione, ha annunciato la formazione di una commissione il cui compito sarà quello di investigare le condizioni dei bambini abbandonati dai genitori che hanno dovuto emigrare a causa della grave crisi.

E’ una realtà su cui vogliamo richiamare l’attenzione affinché lo stato prenda provvedimenti e determini la gravità della crisi e come questa stia segnando profondamente l’infanzia in Venezuela”, dice Mariela Magallanes. Secondo la parlamentare, la cosa più preoccupante è l’aumento dei bambini di strada, insieme con la diminuzione dell’età a cui i bambini assumono tale condizione. “Secondo i dati presentati dalla Red de Casas Don Bosco (rete di case Don Bosco), un’organizzazione che offre accoglienza ed opera su scala nazionale, ci sono bambini che vivono in strada a partire dai 6 anni, e dal 2009 il numero di bambini in questa situazione è aumentato del 60%”, aggiunge Magallanes.

Considerata la situazione, il Congresso stesso ha lanciato a marzo di quest’anno una piattaforma chiamata Registro de Venezolanos en el Exterior (Registro dei Venezuelani all’estero). Grazie a questo strumento, è riuscito a stabilire che il 40% dei genitori abbandonano i figli perché non possono mantenerli, e “questo sta portando come conseguenza il fatto che, con il tempo, molti di loro si uniscano a bande di delinquenti’, ha aggiunto Magallanes.

Yonder è un altro bambino di 8 anni. Anche lui vive a Cagua. Sei mesi fa suo padre è dovuto partire per la Colombia, e ora si sta prendendo cura di lui sua madre che, nelle prossime settimane, spera di raggiungere il marito. “I miei genitori si sono dovuti separare perché mio papà è andato a lavorare, mi manca molto’, afferma. Durante la conversazione telefonica, in varie occasioni, il piccolo insiste che gli manca suo padre, ma, con l’innocenza propria di un bambino della sua età, riesce a trasformare il dialogo in giochi e risate. “Quando sarò grande vorrei essere come James”, racconta, riferendosi al giocatore di calcio della nazionale colombiana.

L’abbandono di minori riflette alcune delle facce più crude della crisi: la fame e il maltrattamento. “La questione del maltrattamento in Venezuela si è aggravata di pari passo con quella della fame”, racconta il direttore de la Red de Casas Don Bosco, Leonardo Rodríguez, e aggiunge: “abbiamo molti casi in cui si evidenza un maltrattamento fisico del bambino. Tuttavia, l’aspetto più problematico è senza dubbio il fatto che sia madri che padri, venuti a chiedere dei soldi perché se ne andranno dal paese, hanno ammesso di aver picchiato i figli di tre, quattro o cinque anni perché non smettevano di lamentarsi per la fame”.

In relazione a questo, la nutrizionista specializzata in gestione della sicurezza alimentare e consulente di Caritas Venezuela, Susana Raffali, assicura che in questo paese si ha a che fare con un altissimo grado di vulnerabilità alimentare a causa della migrazione.

Secondo l’esperta, durante l’ultima giornata per la valutazione dei bambini realizzata a gennaio di quest’anno, approssimatamene il 20% di loro si è presentato da solo. “Arrivavano bambini di 12 o 13 anni, portando con loro altri più piccoli. Arrivavano da soli persino bambini di sei o sette anni. Tuttavia, nell’ultimo anno è diventato sempre più comune che la maggior parte venga accompagnata da anziani”, afferma.

La crisi venezuelana ha dimostrato di essere trasversale. Gli stessi centri di accoglienza, infatti, hanno dovuto limitare la loro prestazione di servizi a causa della scarsità e mancanza di risorse.

Per esempio, la stessa rete di case Don Bosco, che avrebbe una capacità totale di 650 minori, attualmente non può ospitarne più di 250. “Se prima avevamo l’occorrente per cambiare una lampadina, ora non abbiamo più neanche quello; alcune zone della nostra casa sono senza luce, e man mano che si è danneggiata l’aria condizionata nelle zone occupate dai ragazzi, non abbiamo potuto aggiustarla perché le poche risorse che abbiamo a disposizione servono per comprare alimenti”; racconta Rodríguez.

TRATTO DA LA TERCERA