UCRAINA – Il diciassettenne Seryozha si infila tra due sbarre strette e mi fa cenno di seguirlo. Ci sono meno otto gradi, ma devo togliermi la giacca altrimenti non riuscirò a passare dalla fessura. Mi sdraio per terra, trattengo il respiro, sgattaiolo lentamente sotto le inferriate. È umiliante e scomodo, ma non ci sono altri modi. Le sbarre recintano uno spazio seminterrato dove si trova il sistema di riscaldamento e quello fognario di un complesso di appartamenti ex sovietico. Seguo cautamente Seryozha attraverso una serie di stanze, nel buio pesto, usando la torcia per evitare di sbattere contro i tubi e di pestare le feci delle persone.

Sopra di noi, Kiev si sta godendo una frizzante giornata di sole.

In fondo alle camere una lampadina fioca e giallastra illumina una pila di materassi sporchi. Seryozha mi mostra un mucchio di avanzi di cibo che ha raccolto dai bidoni. L’odore mi fa venire il voltastomaco. Per Seryozha e gli altri due, questo posto è la loro casa. Sembrano indifferenti alle condizioni che ci sono. Il pavimento sporco sotto ai miei piedi è disseminato da tubetti vuoti di colore giallo. Sono di una ditta di colla ucraina che li usa per fissare la suola delle scarpe, ma se inalata da un sacchetto di plastica, riduce la sensazione di freddo e fame e produce allucinazioni uditive e visive, causando anche danni al cervello.

Su uno dei materassi, una ragazza di venti anni sniffa soddisfatta. Il sacchetto serrato energicamente intorno alla bocca si gonfia e si sgonfia sincronizzato con il suo respiro. “Guarda, sta sniffando colla!” ridacchia Seryozha. Il suo viso è visibilmente sfregiato e sembra che i suoi occhi lacrimino, ma quando sorride sembra più giovane e amabile. Gli occhi della ragazza roteano indietro: è improvvisamente trasportata in un altro regno. “Glukhi, glukhi!” dice Seryozha, allucinazioni!!

A 17 anni, Seryozha è abbastanza giovane per poter prendere un posto in un centro per bambini di strada, ma non è interessato. “Ci sono le sbarre alle finestre” dice. Gli faccio notare che ci sono le sbarre anche in questo scantinato. Mi fa uno dei suoi sorrisi da cherubino. “Ma puoi uscire, puoi fare una passeggiata” la parola che usa per dire uscire a fare una passeggiata “gulyat”, tradotta significa si può andare in giro ma quando i ragazzi di strada usano questo termine intendono “girovagare”, “passare il tempo” ma anche “mendicare”. Seryozha è uno di quelli che gli ucraini chiamano “un orfano sociale”: un bambino con uno o entrambi i genitori vivi che non sono in grado di occuparsi di lui. La sua è una storia di percosse, abuso di alcol, orfanotrofi e fallimento genitoriale. La storia si ripete sempre: ho sentito la stessa versione da tutti i bambini di strada con cui ho parlato. Non si ricorda quando ha iniziato a sniffare colla e quando ne parla borbotta ricordandomi un pugile ubriaco. Aveva un vago piano di andare in un centro di riabilitazione e adesso, dopo un sospiro, mi parla dei suoi piani per l’estate e di come stia aspettando con ansia di vivere all’aria aperta. Nessuno sa quanti Seryozha dormono nei tombini, negli scantinati, sotto i ponti o nei canali dove passano le tubature dell’acqua calda in Ucraina, ma il numero sembra essere intorno le decine di migliaia. L’UNICEF ha indicato come cifra 100.000, ma è un dato controverso: include i bambini che hanno una casa, ma trascorrono buona parte della giornata in strada. Il presidente del Centro Servizi per bambini è un affascinante ex assistente sociale, si chiama Nikolai Kulyeba. Dice che non ci sono più di dieci o quindici minori che vivono per le strade di Kiev. “In caso contrario”, dice “l’avrei saputo”.

Conto i bambini che ho incontrato finora: Dima, una quattordicenne dell’Ucraina dell’ovest che dorme nei canali vicino alla stazione; Slavik, sedici anni, fuggita da una mamma alcolizzata e al momento in un seminterrato pieno di tossici. Velocemente arrivo già a undici – escludendo i casi limite, come Sabina, che dice di avere diciotto anni, ma sembra ne abbia quindici e vive in un tombino. Chiedo a Kulyeba se è possibile che in due settimane a Kiev, durante le quali c’è stato un freddo da record e la maggior parte delle persone non si azzardava ad uscire di casa, io possa aver incontrato l’intera popolazione dei bambini di strada. “Probabilmente non ti hanno detto la loro vera età. Forse ti hanno detto di avere meno di diciotto anni così da impietosirti”. Fuori dalla stazione centrale di Kiev, l’unità di prevenzione sta offrendo controlli sanitari gratuiti ai bambini tra i quattordici e i diciassette anni. Una ragazza con i capelli scuri, che dice di avere diciotto anni, è riluttante a porgere il suo dito per il prelievo. Ci vuole un’infermiera giovane per convincerla a concedere poche gocce di sangue. In qualche minuto, le linee dei test confermano che non ha l’epatite B, l’epatite C e l’HIV, ma è positiva alla sifilide. “E molto negativo per il bambino che porta in grembo” dice l’infermiera, “ma purtroppo vediamo molti casi come il suo”. In Ucraina i bambini di strada sono stati colpiti in maniera massiccia da un’epidemia di HIV. Più dell’1% della popolazione ne è colpito, gli epidemiologi dicono che sia una soglia critica. Dall’unità di sensibilizzazione e prevenzione mi dicono che all’incirca uno ogni dieci bambini testati risulta sieropositivo. Oksana, 17 anni, dice di aver contratto l’HIV quando è stata violentata mentre viveva in strada. È nel primo stadio dell’infezione, quando le medicine non sono necessarie. Ma potrà avere accesso alla terapia anti-retrovirale, quando sarà il momento? All’inizio la costituzione ucraina garantiva assistenza sanitaria gratuita a tutti i cittadini, ma se ne parli con gli ucraini, la reazione è la seguente: o stralunano gli occhi o ridono sarcasticamente. In pratica, quando vai all’ospedale devi dare una tangente o fare una “donazione”, e lo stesso vale per il pagamento delle medicine.

La principale strada di transito di Kiev, Khreshchatyk, vanta negozi di lusso e bar chic, c’è anche Marks & Spencer. Sembra di essere in una città del nord Europa. Eppure in qualche modo sull’Ucraina grava ancora l’eredità sovietica. Il paese non ha abbandonato il sistema dei passaporti interni che l’Unione Sovietica utilizzava per controllare gli spostamenti dei suoi cittadini. Gli ucraini hanno ancora un timbro di registrazione che mostra la loro residenza e, mentre sembra essere irrilevante per le opportunità di lavoro e l’assistenza sanitaria, in pratica se non lo possiedi sei nei guai. “Bez bumazhki, ty bukashka,” recita un vecchio detto sovietico: senza il pezzo di carta sei un insetto.

L’Ucraina ha speso molti soldi per le Olimpiadi del 2012. La finale si è tenuta all’ Olympiskiy Stadium, nella parte nord di Kiev, un’architettura sfavillante ristrutturata per l’occasione al costo di 700 mila dollari. “Certamente mi sarebbe piaciuto avere quei soldi per il budget”, dice Kulyeba con una triste risata. “Ma sono sicuro che è stato tutto calcolato per trarne profitto”. Dall’altra parte della città, in uno dei centri per i ragazzi di strada, nella stanza comune, l’odore di persone che non si lavano. Qualcuno mi dice che Seryozha stava là prima, ma gli è stato chiesto di andarsene perché ha infranto una delle regole del centro: essere puliti dalla colla. È un comportamento tipicamente auto-sabotatore: chiedere aiuto e poi auto squalificarsi dal riceverlo. Tre mesi fa l’ultima notizia di Seryozha: se n’è andato dallo scantinato, ma la sua vita non è cambiata. Sta ancora elemosinando e sniffando colla. Palesemente non è pronto per lasciare la vita di strada e non è detto che lo sarà mai. Il direttore del centro, Leonid Krysov, è indaffarato a radunare i bambini per dei documenti di vitale importanza: certificati di nascita, documenti di identità e di registrazione che sono i prerequisiti per toglierli dalla vita di strada. “Di solito ci danno qualcosa, ma questa volta non avremo i biglietti per la partita” dice con un sospiro. “Ma i bambini mi hanno detto di non preoccuparmi, sembra che conoscano dei canali che sbucano proprio dentro lo stadio”.

Fonte: The Guardian – MARCEL THEROUX