MESSICO – Porta con orgoglio il soprannome di Rat Kid, si tratta di Gustavo che vive a città del Messico, nei parcheggi e nei canali da quando aveva solo otto anni, momento in cui la sua matrigna l’ha cacciato fuori di casa.

Ora ne ha 18 e afferma di aver acquisito nell’ultimo decennio le abilità necessarie per sopravvivere sulle difficili strade di città del Messico.

Il ragazzo attualmente riesce a guadagnare circo 10 dollari al giorno sulla metropolitana della città attraverso una sorta di numero di fachirismo durante il quale si distende a torso nudo su frammenti di vetri rotti per elemosinare qualcosa dai passanti.

“Ho fatto tutto, da lavare i parabrezza a prostituirmi” dice respirando profondamente da uno straccio imbevuto di solvente nel suo pugno chiuso. “Facciamo di tutto per fare un dollaro”.

Gustavo, che vive del motto “non ci si può mai fidare di nessuno”, è uno degli oltre 15.000 minori che vivono per le strade di Città del Messico.

Rimasti soli dopo la morte dei genitori o abbandonati, i bambini si dirigono verso la capitale in cerca condizioni migliori. Ma quando una città di 24 milioni di abitanti chiude un occhio circa la loro situazione, molti finiscono per vivere nell’ombra.

Emilia, diciassettenne, convive con Gustavo nel loro accampamento a circa quindici minuti a piedi da una delle più celebri piazze della capitale.

“Il mio patrigno mi ha violentata quando avevo 13 anni e sono rimasta incinta” ha detto a MailOnline. “Quando l’ha scoperto, mi ha detto che mi avrebbe ucciso se l’avessi detto a qualcuno”.

“Ho dovuto correre lontano da casa e venire a Città del Messico dove nessuno mi conosceva” ha detto rifiutandosi di nominare la sua città natale per timore di ripercussioni. “Oggi per sopravvivere sono nel giro della prostituzione”.

Incapace di trovare un lavoro onesto da tredicenne gravida, Emilia ha dato alla luce suo figlio in un canale di Città del Messico, quattro mesi dopo il suo arrivo nella capitale.

Per suo figlio non ci sono state molte possibilità di sopravvivere e dopo sei mesi il bambino è morto a causa di un’insufficienza cardiaca dovuta alle sostanze tossiche inalate dalle 29 persone con cui Emilia condivide lo spazio vitale.

La sostanza che ha ucciso il figlio di Emilia è un liquido incolore usato per fare diluenti per vernici, colle e disinfettanti. Viene inalata attraverso una bottiglia o un panno imbevuto per indurre una sensazione simile a quella dell’ubriachezza.

“Controlla la fame e fa sparire il freddo” ha detto Emilia a MailOnline. “Contribuisce anche a disinibirmi che è importante quando devo fare cose che non voglio ricordare con i clienti”.

Le autorità di Città del Messico hanno chiuso un occhio sull’occupazione dei canali della città per molti anni fino a che nel 2013 sono stati costretti ad agire in quanto più di 30 persone senza fissa dimora sono state trovate morte sotto una delle principali arterie della città.

Altri racconti invece vedono i ragazzi vittime della criminalità organizzata. Alejandro è stato cacciato dalla sua città natale dopo che una banda rivale ha assassinato suo padre ed il resto della sua famiglia coinvolti nel traffico di droga.

Ora è costretto a vivere per le strade della capitale sostenendo che le altre 14 persone con cui dorme siano la sua unica fonte di protezione.

“Le bande locali cercano costantemente di rubare e di estorcere, devi imparare che non ci si può fidare di nessuno per strada” ha detto a MailOnline, “ma noi siamo fratelli di sangue in questo insediamento. L’unica ragione per cui sopravviviamo è che stiamo uniti”.

“Non ci si può fidare di nessuno in questa vita” dice Gustavo, il cui sogno è un giorno possedere una casa e avere una famiglia propria. “Sono solo felice di aver imparato questa lezione così presto”.

FONTE: dailymail.co.uk